01/2/2009 - Si mantiene molto ampio il range di oscillazione nel quale il cambio euro dollaro si è mosso negli ultimo tre mesi. Un fascia di oscillazione quantificabile in un 17% dal minimo toccato il 27 Ottobre di 1,24 al massimo relativo toccato il 18 Dicembre di 1.4616. Massimo a cui ha fatto seguito un veloce indebolimento dell’euro che ha perso progressivamente terreno a partire da Gennaio di quest’anno con la chiusura di venerdì 30 Genn a 1,28, vicino ai minimi dell’anno (1,27). In effetti una oscillazione di questa portata rischia di disorientare gli investitori. Il recupero del dollaro registrato dall’inizio dell’anno si deve in una prima fase alle attese e poi all’effettivo taglio del costo del denaro in Europa del -0.5% adottato dalla BCE. A dire il vero la forte riduzione dell’inflazione tendenziale in Germania scesa a dicembre al +1,1% annuo, grazie alla forte deflazione su base mensile registrata sia a Novembre 2008 con un -0,3% poi a dicembre con un sorprendente -0,5%,
poteva far presagire una mossa più coraggiosa da parte della banca centrale che con un taglio del costo del denaro di più ampia portata avrebbe potuto dare un impulso più marcatamente espansivo all’economia. Ma sicuramente la BCE si è così assicurata la possibilità di ulteriori interventi sui tassi, spazio di manovra che invece la FED vede ormai molto ridotto per i continui tagli effettuati negli ultimi mesi. All’indebolimento dell’euro registrato negli ultimi giorni, può aver contribuito la notizia diffusa Sabato 31 Gennaio da Barron’s, la rubrica online di notizie finanziarie del Wall Street Journal, secondo la quale alcune banche commerciali europee sarebbero in difficoltà a restituire un prestito a sei mesi di 400 miliardi di dollari fatto dalla FED alla BCE e da quest’ultima girato ad alcuni gruppi bancari a loro volta fortemente esposti nei Paesi Baltici, in America Latina e nei Paesi Emergenti asiatici. Il deterioramento della situazione economica mondiale sta generando difficoltà al rientro da parte delle banche europee e si sta negoziando un allungamento del prestito di altri sei mesi. Tra gli importanti gruppi bancari in difficoltà per le esposizioni sui mercati emergenti non vi dovrebbero essere, secondo l’articolo citato, né banche italiane né banche tedesche. In ogni caso questa situazione contribuisce ad indebolire ulteriormente la moneta europea. D’altra parte lo scenario opposto, cioè un eccessivo indebolimento del dollaro verrebbe visto dalla Banca centrale Europea come un evidente svantaggio competitivo per le imprese europee, soprattutto quelle tedesche che visto il saldo attivo della bilancia commerciale, rappresentano il motore dell’economia dell’intero vecchio continente ( e anche italiane vista la rilevanza dell’export per il sistema produttivo italiano ). Le attese dei mercati sono che la BCE farà di tutto per evitare una forza eccessiva dell’euro, per facilitare la ripresa delle esportazioni sui mercati internazionali. Speriamo soltanto che in questo non venga aiutata da ulteriori dissesti nel sistema bancario europeo. Questo anche perché essendosi modificate le condizioni generali dei mercati con una riduzione sostanziale dei prezzi delle materie prime e soprattutto del petrolio non vi sono più rischi di una inflazione da “importazione”. D’altro canto, sia le decisioni prese dal governo inglese che quelle che si appresta ad adottare la nuova amministrazione statunitense, sono orientate ad un massiccio aumento della spesa pubblica mentre nei Paesi dell’area euro la tendenza non è così evidente. Infatti tranne la Spagna che però vanta una situazione di debito pubblico pregresso con un peso modesto sul PIL e la Francia dove in ogni caso ad oggi gli interventi sono stati più annunciati che attuati, l’Italia di fatto non ha ancora adottato provvedimenti di spesa pubblica di rilievo, anche perchè con il debito pubblico pregresso non potrebbe permetterselo e la Germania si dimostra molto prudente. Provvedimenti di spesa pubblica che in genere tendono ad indebolire la moneta anche per la conseguente emissione di titoli di debito pubblico necessarie per finanziare gli interventi. Emissioni che, viste le dimensioni dei piani di spesa, avranno nei prossimi mesi dimensioni decisamente fuori del comune in particolare quelle effettuate negli Stati Uniti che si sta concretizzando come il piano di spesa pubblica più grande nella storia dei paesi occidentali. Emissioni che dovranno essere in qualche modo poi assorbite dai mercati finanziari internazionali. In ogni caso malgrado i tassi attivi sui titoli di Stato USA siano ai minimi storici in questa situazione di estrema incertezza i capitali dei fondi sovrani e dei grandi investitori continuano a fluire sui titoli di debito pubblico americano. In ultima analisi la fiducia verso il sistema americano nel suo complesso porta al paradosso che il più massiccio intervento pubblico della storia si accinga ad essere finanziato dagli investitori praticamente a tasso zero. D’altra parte mentre oro ed argento schizzano ai massimi storici un altro porto sicuro sembra essere alla fine proprio quello del debito pubblico statunitense. Anche a questo probabilmente si deve la forza del dollaro nelle ultime settimane. |